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Lavadôr-Silans

Un modo davvero piacevole di raggiungere il centro cittadino dalla borgata di Godo è percorrere il tratto pedonale di via Monte Glemina. 

Dalla piazzetta della Fontana di Silans, la via sale tra i prati fino a bordeggiare lo scosceso costone del sovrastante monte Glemine, giusto sotto la Cjase dai Cuarvats*, per poi sbucare davanti a Porta Udine, sotto al Duomo di Gemona.

Dopo il primo tratto, incassato tra alte mura di cinta, recentemente ricostruite da volontari di Godo in luogo di quelle abbattute dal terremoto, si raggiunge il fosso dove precipita la cascata del torrente Glemineit

L’incredibile spettacolo del torrente che appare e scompare

Seguendo logiche misteriose inscritte nelle viscere della montagna (probabilmente dipende da un sifone sotterraneo non ancora scoperto), il Glemineit appare all’improvviso, in occasione di eccezionali piogge, fornendo uno spettacolo mozzafiato, preceduto dal caratteristico boato che gli abitanti del luogo hanno imparato a riconoscere. 

Sgorgando quasi dalla cima del monte, la cascata piomba con fragore nel condotto sopra alla galleria di via Udine e da lì scivola nella fossa accanto a via Glemina, sotto la quale passa per poi scendere a valle con minor forza, attraverso una efficiente rete di canali. 

Sulla destra, prima del ponticciolo sotto cui scorre il Glemineit, si nota una semplice costruzione in pietra appartata recentemente sistemata da volontari. È questo un "cesso" (dal latino "secessus", che significa appunto "appartato") come riporta la scritta sulla porta, ovvero la latrina che serviva a chi lavorava ai lavatoi.

Lavatoi (Lavadôrs), mulini e sistemi di irrigazione: l’acqua e Gemona

La galleria di via Udine, lì collocata dopo il terremoto, poggia su un possente muraglione costruito a partire dalla metà del ‘500 per sorreggere la via alta verso Artegna. Di seguito, ai piedi del muraglione, fu costruito un primo lavatoio nei pressi della sorgente del Glemina, con l’intenzione di spostare in quel punto, cioè fuori dalle mura, non solo il lavaggio dei panni, ma anche la conciatura delle pelli e la macellazione del bestiame. Si  riteneva inopportuno, soprattutto per ragioni sanitarie, mantenere nelle fontane pubbliche del centro l’abbeveraggio di uomini e animali. 

Come quello attualmente visibile, il Lavadôr era costituito da una canaletta centrale con ai lati i piani di lavaggio.

Ben presto venne aggiunta una copertura in legno che solo nel 1836 prese la forma ancora oggi visibile, con i 3 archi per lato e la copertura in pietra.

Il Lavadôr, fin dal Medioevo, faceva parte di un complesso idrico articolato. La fonte del Glemina alimentava oltre al lavatoio anche un mulino e un sistema di canalette che a partire da una vasca ottagonale garantivano l’irrigazione dei "broili" a terrazzamento che sorgevano sui pendii verso Godo. Tanto la vasca quanto le canalette sono attualmente in disuso ma ben visibili proprio di fronte al Lavadôr, oltre la rete di recinzione che costeggia la via che sale ripida lungo un tratto recentemente lastricato.

*Casa dei corvi, a cui è legata la leggenda del "Sassìn di strade"

bibliografia: G.Marini, “Il lavatoio del Glemine”, ed. Città di Gemona del Friuli, 2011.

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